“…un pizzico di felicità: la mia seconda famiglia alla Piccola Casa come volontaria”

Mi chiamo Rosanna ho 80 anni.

80 anni io? No!

Io sono la bambina che andava alla Piccola Casa della Divina Provvidenza con mio papà a far visita alle Suore.

In quel periodo c’era un ambulatorio in via Cottolengo, forse al numero 18, si chiamava Santa Filomena dove curavano tutte le persone indistintamente.

Il chirurgo era il dottor Scopello, la capo sala era Suor Elisabetta competente come un medico.

Correva voce che là ci fossero delle piante bellissime perché Suor Elisabetta, quando finiva la flebo dei pazienti, se restavano delle gocce, le usava per innaffiare le piante e queste crescevano rigogliose.

Mio papà era amico del dottore e mi portava con lui quando andava a fargli visita.

La mia famiglia aveva un negozio di articoli sanitari: mia zia confezionava i busti su misura per sostenere la schiena di chi aveva patologie di scogliosi, cifosi ecc.

Mio papà faceva gli arti finti, le scarpe ortopediche, i busti con le stecche di ferro che, allora, erano gli unici rimedi: servivano le Suore e gli ospiti della Piccola casa.

Sovente mi portavano con loro quando andavano a prendere le misure o a provare il lavoro: io aspettavo con le Suore, coccolata da tutte.

Questo è stato il mio primo approccio con il Cottolengo e credo sia stato da quel periodo che ho iniziato ad amare questa realtà, e nel tempo ho avuto modo di apprezzare sempre di più l’amore e la dedizione di tutte le persone che ne fanno parte.

Nel 1992 ho fatto il mio ingresso al volontariato.

Ho frequentato sotto la guida di Suor Giuliana il corso di formazione che allora si svolgeva in 5 giorni.

Ho imparato la teoria: la pratica poi è stata molto diversa.

Ho preso servizio in un reparto dove c’erano donne per lo più allettate.

Lì ho imparato tante cose, ho visto ciò che non avrei voluto vedere: piaghe da decubito, gambe ulcerate, occhi ammalati ecc.

La prima volta che la capo sala mi ha chiesto di assisterla durante le medicazioni quasi mi sono sentita male quando ha tolto le bende alla gamba di un’ospite che aveva delle piaghe molto profonde e che, nonostante tutte le cure, non si rimarginavano: non pensavo potesse esserci una tale realtà.

La prima cosa che mi è venuta in mente è la sofferenza che sicuramente pativa quella persona…

Ho provato tanta pena in quel momento ed ho anche imparato a conoscere la misericordia.

In quel periodo noi volontarie eravamo in prima linea, facevamo di tutto.

La prima volta che ho svuotato una padella mi è venuta la nausea, quasi vomitavo, ed è stato il primo impatto.

Nessuna voleva lavare le dentiere e devo dire che ho dovuto impormelo, però ho fatto fatica.

Lavavamo le ospiti anche facendo loro il bidè, cosa che credo imbarazzasse più loro di me.

Quando arrivava il giorno del bagno tutte accampavano delle scuse per non farlo, a parte alcune temerarie che subivano senza protestare.

Era una lamentela unica.

Una nonnina tutte le volte pregava: “Madonnina per favore fammi fare un bel bagno.”

All’ora della cena le aiutavamo a mangiare imboccandole.

Una sera mentre preparavo la cucchiaiata un’ospite si è sentita male, ha perso conoscenza ed è stata subito soccorsa.

Mi sono spaventata tanto, quasi sentendomi in colpa…

Purtroppo la settimana successiva questa ospite non c’era più.

Questo episodio mi ha molto toccata.

Arrivata l’ora della nanna aiutavamo a prepararle per la notte e poi, con Suor Margherita, meravigliosa capo sala, passavo a dare la buona notte e un bacino a tutte le “ragazze”.

Ho imparato così a dare amore che in fondo è la cosa più importante che possiamo fare.

La suorina che vegliava di notte diceva sempre: “la cosa più bella è servire.”

Purtroppo ho dovuto rinunciare a questo servizio perché mia mamma e mia zia si erano ammalate per cui mi ero presa cura di loro.

Quando sono mancate ho conosciuto Maria che veniva a Lourdes con l’Unitalsi, l’associazione di cui faccio parte: lei

aveva sempre vissuto al Cottolengo, andavo a trovarla, mi permettevano di portarla a casa mia a pranzo, la accompagnavo a far delle passeggiate e quando si è ammalata le sono rimasta vicino fino alla sua scomparsa.

Faceva parte della famiglia Santi Innocenti dove è stata curata con grande professionalità: il medico passava a visitarla sovente, le infermiere le erano sempre vicine e presenti, Suor Anna, la Superiora, sovente passava a visitarla e se aveva tempo si fermava a chiacchierare con me.

In quei momenti ho capito il grande ruolo che ricoprivano le Suore sempre disponibili e attente ai bisogni di tutti.

Ringrazio molto Suor Anna che l’ha vestita in modo che piaceva a lei, con la sua maglia preferita ricca di lustrini, il braccialetto con le perline che le avevo portato da Lourdes: non tutti avrebbero rispettato le sue frivolezze.

In quella circostanza ho conosciuto Suor Immacolata (Suor Imma) che mi ha chiesto: “ma tu non avresti un mattino libero per aiutarmi con le ragazze,” chiamava così le persone meno fortunate di tutte.

Il lunedì mattina ero già nel laboratorio artistico occupazionale.

Suor Imma faceva ascoltare le canzoni allegre ed io passavo ballando e cantando dall’una all’altra facendole battere le mani, un sorriso a una, un bacino all’altra illudendomi di farle contente.

Alcune inizialmente mi cacciavano, poi si sono accorte che ero innocua così mi hanno accettata.

Tutto questo finché non è arrivata la  bestiaccia (leggi Covid) e allora…tutti a casa.

Non ho più avuto notizie delle ragazze: se telefonavo a suor Imma mi diceva tutto bene, tutto bene ancora adesso…

Nel frattempo c’è stata l’ostensione della Santa Sindone ed un gruppo di volontari sotto la guida di Suor Giusi accoglievano i pellegrini che stavano qualche giorno nei locali messi a disposizione dal Cottolengo.

In quel periodo ho spinto tante carrozzine sul percorso ed è stato molto commovente accompagnare le persone davanti al Sacro Lino, vedere con quanta fede e commozione si accostavano.

Iniziate le vaccinazioni anti Covid mi è stato chiesto di andare all’ospedale della Piccola Casa ad aiutare il personale incaricato, volontari e dipendenti.

Ben contenta ho subito aderito.

Non ho mai avuto il posto fisso, andavo dove c’era bisogno: quando l’ho fatto presente a Suor Elisabetta, Vice-Direttrice dell’ospedale, mi ha risposto: “lei è il mio jolly” e io felice e contenta ho continuato a essere precaria, e ancora oggi, sempre in ospedale, faccio “la tuttofare.”

Il Cottolengo ormai è la mia seconda casa.

Sono contenta del mio lavoro perché mi permette di stare con le persone.

Ho la fortuna di avere un bell’approccio con tutti e non faccio fatica ad ascoltare uno o l’altro: in fondo c’è tanta solitudine e se si trova qualcuno che ti dia retta e ti dica una frase di conforto ti aiuta sempre ad affrontare i problemi che hai.

Bisogna proprio essere molto soli per parlare con un estraneo di cose anche personali.

Ho ascoltato tante persone in difficoltà sia riguardo alla salute sia riguardo alla vita.

Ci sono molte persone ammalate di tumore: io racconto loro che anche io ho percorso quella strada che per me è stata un’esperienza positiva che mi ha cambiata, mi ha fatto capire tante cose a cui prima non davo importanza.

Ringrazio il Signore per avermi sostenuta in quell’esperienza per cui “benvenuto anche il cancro.”

Mi sembra di aver scritto troppo senza essere riuscita ad esprimere la gioia che ricevi facendo volontariato.

Ho scritto di getto, senza cercare la forma giusta, le parole più adatte, però ho scritto con il cuore.

Rosanna Cometto

25 maggio 2023

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3 risposte a “…un pizzico di felicità: la mia seconda famiglia alla Piccola Casa come volontaria”

  1. Pietro BELLO scrive:

    Complimenti…
    dovremmo prendere tutti d’esempio questa bravissima Signora…
    Deo gratias

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